| LUCIANO REGOLI PROFESSIONE PITTORE
Luciano Regoli é nato a Terni nel 1949.
Ha frequentato la Facoltà di Architettura e la Scuola Libera del nudo all'Accademia di Belle Arti di Roma. Inizia l'attività artistica sotto la guida del pittore P.O. Gion fra, allievo a sua volta di uno dei più significativi artisti a cavallo del secolo: Carlo Siviero.
Espone dal 1975 in Italia e all'estero. Nel 1978 è a San Paolo del Brasile, nel 1979 a Sheffield, nel 1980 è ospite delle grandi famiglie svizzere per una serie di ritratti.
In Italia esegue ritratti per la nobiltà fiorentina, romana e a noti personaggi romani. Nel 1981 realizza il ritratto del filosofo U.G. Krisnamurti, e nel 1982 del presidente egiziano Hosny Mubarak, commissionato dalla Ambasciata Egiziana a Roma.
Nel 1987 e 1988 vive nella Confederazione Elvetica, eseguendo ritratti per le più note famiglie svizzere tra le quali i Lindt-Sprungli. Nello stesso anno si reca in Arizona dove gli vengono commissionati numerosi ritratti, e in quella occasione il regista P. Mercadini gira il documentario "Arizona 88 - appunti di un ritrattista in viaggio".
Dal 1989 al 1992 la tensione creativa lo porta a dedicarsi, con soddisfazione, alla scultura. Alla fine del 1992 ritorna alla pittura ed espone a Roma, Firenze, Portoferraio, Piacenza, Cremona e Milano. Nel 1994 si reca per un ciclo di lavoro a Parigi. Attualmente I suoi studi sono a Roma e all'isola d'Elba.
I RITRATTI Il genere ritratto è tra i più costrittivi e, dunque, pericolosi. Tra l'artista ed il suo oggetto deve correre, infatti, un rapporto cadenzato da precise necessità: la somiglianza, anzitutto. Se si parla di ritratti su commissione - come L'antiquario Paolo Paoletti (1986), a La principessa Donatella Borghese (1983), a L'antiquaria Caselli (1987) - si nota una sorta di ulteriore sudditanza di diversa natura.
Osserviamo L'oste Gianni Brunelli e noteremo una certa derivazione ed affinità con l'antico. Anzitutto il fondo che è concepito come luogo di restituzione dell'immagine umana. Una mera superficie qua e là vibrata di cromia timbricamente ribassata per consentire la decantazione del personaggio e della natura morta in primo piano. Come nel noto quadro di Giovan Battista Moroni, l'ambiente non è evocato. Ed il personaggio, di tre quarti come il suo antecedente. Lo scatto differenziale sta nell'essere, quello di Moroni, colto in un momento di operosità, mentre quello di Regoli in un attimo di stasi che interrompe il lavoro.
Da notare, comunque, la qualità del fare pittorico che in alcuni punti pare accendersi per effervescenze materiche, dando vita ad un contrasto portato in evidenza dalla fluidità, al contrario, su cui si fonda la composizione. Ed anche il problema dello spazio parrebbe esser vissuto per linee di ascendenza. Regoli, insomma, non infrange un ordito tradizionale. Per rendere più vera l'illusione di un addentramento nel topos del dipinto, usa un panno bianco che, con le sue pieghe, si porge e sporge dal primo limite del quadro. Tale soluzione - e ci riferiamo anche al pane - genera un'ombra sulla verticale del medesimo tavolo, avvalorando la ritmica compositiva.
E poiché s'è parlato di ascendenze o, quanto meno, di colloqui a distanza con i maestri, parleremo di un altro ritratto, Testa di vecchia (1983), che sembra riferirsi ad uno degli alienati monomaniaci di Gericault. E qui, naturalmente, si riaffaccia il problema di una visione tra neo-classicismo, romanticismo e certo annunciato realismo. La connotazione pittorica puntualizza, per le linee somatiche, un carattere. Pur scendendo all'analisi dei particolari: ad esempio, la congiuntiva arrossata. La cromia, scura e forte, offre un'evidente dimensione introspettiva. Allo stesso modo in cui il battere improvviso della luce sulla fronte, il naso e lo zigomo del personaggio accentua lo scandaglio della e sulla realtà. La donna si volge di scatto, ed altrettanto d'improvviso sembra fermarsi, e per sempre, in quella positura. La materia, solida, pur s'imbeve di soluzioni fluide, tali non solo da accompagnare la movenza ma, diremmo anche, il suo profondo.
SCENE DI GENERE Tra queste ricordiamo anche La provocazione (1983), La valigia (1985), Piera in un interno (1985), Maddalena (1988), Piera col gattino (1984) e Lezione di anatomia (1984).
Appare chiaro il rapporto analogico tra Lezione di anatomia di Regoli e la nota Lezione di anatomia del dottor Tulp di Rembrandt. Non v'è dubbio che Regoli dall'olandese accetti, ad esempio, l'impostazione prospettica del corpo giacente, pur se la vede capovolgendolo nel luogo. Ciò che rimane decisamente esterno alla sua visione sarà, invece, l'accezione dei molti personaggi che in Rembrandt sono puntuali ritratti. Nella propria immagine Regoli concepisce, al contrario, una sorta di triade, di cui uno solo è attento allo studio mentre gli altri sono interlocutorie e testimoniali presenze fantasmiche.
Quel che convince del quadro di Luciano Regoli è la costruzione - diremo la sintassi - che deriva dalla coniugazione di numerosi oggetti, non pochi dei quali apparentemente incongrui in quel contesto. Non esita Regoli a formulare una precisa citazione epocale, non solo per lo stile e la vetustà del mobilio ma, soprattutto, per la corazza e l'elmo che in Rembrandt sarà possibile scorgere nella Ronda di notte.
Ne risulta una scena ove certo disordine dettato dalla disposizione nello spazio di quegli oggetti, viene raffrenato da un ordine, che al contrario che non si tarderà a definire simmetrico, e da un emblematico nitore della cromia. In tutto ciò la luce gioca un ruolo significativo, i bianchi del libro squadernato e del calco d'una testa sull'opposto primo piano, rialzano una timbrica che s'imposta su tonalità cupe.
PAESAGGI Regoli si pone di fronte al paesaggio una volta di più - e per soli certi aspetti dichiarandolo quasi apertamente, per altri aderendo al linguaggio d'una tradizione toscana - in Capo Bianco di Libeccio, Valle di Lazzaro (1987), Il Volterraio (1988), Le mura di Portoferraio (1985).
Alludiamo a Il Colosseo (1982). Qui è davvero la luce ad essere la protagonista del narrato. Una luce che dal fondo, di cui s'intuiscono appena le strutture architettoniche, entra violenta per l'arco del monumento, generando avvolgenti locuzioni d'ombra che danno volume segnandone la forma ai grandi frammenti di colonna. Riemerge in modo chiaro la propensione di Regoli a vedere la pittura come summa di riemersioni a cui dare "l'imprimatur" della propria vocazione.
Così è ancora realismo, romanticismo e neoclassicismo, con veloci incursioni in ulteriori atmosfere, con quella luna che solo s'intravede per le foschie del cielo a segnalarci il golfo mediante le alture della costa all'orizzonte e le case in primo piano. La pittura segue l'atmosfera della sera. Ogni suggestione è, dunque, filtrata, e ci giunge in resa del luogo per affermazioni di memorie anziché - contrariamente al consueto - di puntuali osservazioni.
Pare che qui il pittore conquisti finalmente il segno della libertà, una libertà comunque presente in altre e diverse immagini poiché - come s'è fin dall'inizio osservato - per Regoli la libertà del dipingere è tutta nell'asserzione di una creatività che che non può che trarre dalla lezione della storia.
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